Un
gruppo di insegnanti, educatori, genitori, maestre in pensione,
studenti si è
riunito ultimamente in un’assemblea pubblica per parlare di
scuola.
Perché
tornare a parlare di scuola?
Perché
dopo anni di tagli a risorse umane e a strumenti di crescita
educativa, la
scuola sembra inesorabilmente destinata ad essere consegnata a
politiche aziendalistiche,
quasi privatizzata e ridotta a chiedere in continuazione soldi
alle famiglie per
la sua stessa sopravvivenza, cosa che la Repubblica, per sua
esplicita
intenzione, dovrebbe
garantire per legge
( art.34 della Costituzione: La scuola è aperta a tutti ed
è obbligatoria e
gratuita).
Noi tutti abbiamo
individuato l’urgenza
di riprendere un dialogo tra le diverse anime che compongono
il mondo della
scuola; vorremmo ricominciare a parlarci seriamente,
sinceramente, senza
paura di essere additati come coloro che “danneggiano l’immagine
di
quell’istituto”. Purtroppo la competizione tra scuole ha spinto,
in questi
ultimi anni, dirigenti e insegnanti a nascondere, invece di
svelare, ogni
manovra o provvedimento orientato ad una
scuola classista, non più per tutti.
Ora
che molti genitori insieme
a
maestre, educatori, studenti hanno tolto il sipario mostrando
l’inimmaginabile,
per informazioni mai ricevute o semplicemente perchè buona parte
dei cittadini
ha sempre delegato alla scuola la responsabilità di far fronte
ad ogni attacco,
si rimane scioccati per il progetto politico aberrante che
assegna alla scuola
pubblica funzioni di controllo e pratiche selettive. Tale
disegno culturale,
perpetrato da tutti i governi in anni e anni di tagli e calunnie
nei confronti
di quelli che venivano stigmatizzati come insegnanti fannulloni
o come valori
educativi perdenti, trova la sua forza nel silenzio, nella
disinformazione, nel
mettere gli uni contro gli altri, in una sorta di continua
gara.Gli uni contro
gli altri, per ottenere una misurazione finta degli
apprendimenti, i famosi quiz
Invalsi, che determinerà classifiche di alunni, istituti e
docenti, i cui obiettivi
sembrano piuttosto quelli di creare uno status sociale
dell’individuo, la
pagella dell’Istituto, la carta di identità del territorio e
della scuola
pubblica , dopo però che questa è già stata privata
dell’ossigeno naturale per
sopravvivere, con le costanti politiche di razionalizzazione
sforbiciante.
Il
collettivo di cittadini nato a Reggio Emilia sulla scia delle
contestazioni nei
riguardi delle prove Invalsi, (imposte dopo i tagli scellerati
alla scuola
senza tener conto dei programmi
svolti
nelle aule e per di più discriminando gli studenti segnalati con
DSA), promuove
un dibattito pubblico, articolando la propria riflessione
propositiva sui
seguenti punti programmatici:
1) Il ruolo
della scuola nel territorio.
Ripristinare uno spazio pubblico di discussione, aperto, di vera
informazione,
e soprattutto riconoscere ad ogni soggetto parità di intervento
ed espressione,
come già la legge a suo tempo prevedeva.
2) Scuola e
tempo. Ricominciare
a dare il giusto
significato ai tempi e ritmi dell’apprendimento. Il tempo pieno,
così come è
organizzato (maestre con orari “spezzatino” , discontinuità,
azzeramento di
compresenze per il recupero degli alunni in difficoltà ecc.) è
un tempo
riempito. Occorre poter calare l’azione educativa in un contesto
umanizzante, libero dai ritmi della
produttività e delle
apparenze, per recuperare l’ampiezza dei vissuti emotivi e
relazionali,
costitutivi dei reali bisogni dell’infanzia.
3) Chi è il
bambino di oggi?
Quali sono i suoi
reali bisogni? Quale patto educativo genitori-insegnanti
-istituzioni e società
deve sottendere? Ricominciamo a porre i ragazzi al centro della
scuola,
ridefinendo il significato ed il fine dell’istruzione, intesa
come processo
sociale.
4) Scuola e
cultura .Si apre di
fronte a noi una
grande sfida culturale, tenendo conto della regressione odierna
di ogni ambito
culturale. Dobbiamo riprendere una ricerca attiva, che
reinterpreti, anche con
lo sguardo delle nuove generazioni, il campo del sapere
interdisciplinare.
Vorremmo ritrovare lo spazio scolastico come spazio di confronto
e approccio alla
complessità, luogo in cui ci si incontra, si cresce insieme, si
educa al pensare e non
“a cosa pensare”; luogo in
cui la differenza diviene paradigma di crescita reciproca, su un
piano di
eguale dignità.
L’ azione educativa, con Morin, deve promuovere
una intelligenza
generale, capace di riferirsi al complesso, al contesto, in
modo
multidimensionale e al globale. Di
qui il rifiuto dell’ingessamento delle conoscenze nei libri di
testo, sempre
più genuflessi alle esigenze della misurabilità per nozioni,
mediante i test,
per una riscoperta del sapere agito e cooperato, nella
negoziazione inter e
intra -individuale dei significati.
5) Scuola e
risorse. Sulla
scuola si deve
investire. Appare essenziale rifiutare ogni logica di bilanci
attivo/passivo,
se commisurati a prassi consolidate, efficaci, necessarie per la
crescita della
persona. In un periodo di crisi
molti
paesi dell’Europa stanno invece investendo, con molti progetti a
fondo perduto,
su scuola, ricerca, formazione…. perché investono sul loro futuro.
6) Prove
Invalsi. Perché
promuovere con la
forza una metodologia che lede fortemente ogni democrazia
possibile rendendo
inutili dibattiti e mozioni dei collegi docenti, non dando la
giusta
informazione alle famiglie, anche in merito a questionari dello
studente, senza
tutela della privacy?... Sospende il diritto allo studio,
discrimina i bambini
disabili o con DSA, lede la libertà di insegnamento.
Ci
sembrano sei punti essenziali, ma non certo esaustivi, da cui
ripartire per
ribadire con nettezza:
A)
il concetto di
formazione come diritto imprescindibile, perchè componente
essenziale di ogni essere
umano, ( animale culturalmente definito) ;
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